Usciti da Orvinio si prosegue verso nord sulla Licinese fino al chilometro 18 dove, prendendo una strada sterrata sulla destra, si giunge ai resti dell’antica Abbazia di S. Maria del Piano.
Usciti da Orvinio si prosegue verso nord sulla Licinese fino al chilometro 18 dove, prendendo una strada sterrata sulla destra, si giunge ai resti dell’ antica Abbazia di S. Maria del Piano.
Della fiorente Abbazia sopravvivono, oggi, i suggestivi resti che richiamano alla memoria il suo passato splendore.
Il complesso benedettino è posto silenziosamente al bordo di un ampio e fertile piano carsico interrotto qua e là da alberi e orli di siepi. La scarna e armonica facciata della Chiesa – in pietra calcarea scurita dal tempo – i lembi di mura perimetrali, il profilo allungato e vigile del campanile romanico, spuntano quasi all’improvviso dalla vegetazione.La Chiesa è a “pianta a croce latina”, con abside semicircolare sopraelevata.
La meravigliosa Torre Campanaria è caratterizzata da più ordini di apertura ed ovunque si trovano tracce che testimoniano l’esistenza di un antico convento. La struttura abbaziale poggia su un promontorio prospiciente la Valle Muzia, che la documentazione archeologica vede abitata privatamente – già in età romana – a partire dall’epoca repubblicana. La stessa struttura ecclesiastica è probabilmente costruita sui resti di una situazione archeologica complessa, che alcune teorie reputano compatibile con quella di un complesso funerario imperiale.
La documentazione scritta del Monastero inizia nel Medio – Evo con il regesto farfense: in due documenti datati 1026 e 1062, Santa Maria de Putealia compare non come proprietà dell’Abbazia di Farfa, ma come elemento confinario a se stante e già dotato di un nucleo fondiario privato.
Le testimonianze relative alla struttura, riferite ad epoche anteriori a questi documenti, rientrano tuttora nei canoni della tradizione orale edita dagli studi storico – antiquari locali all’inizio del XVIII secolo. Tali fonti fanno risalire l’origine del complesso abbaziale al IX secolo d.C. e attribuiscono la costruzione della Chiesa all’Imperatore Carlo Magno, in occasione della vittoria conseguita in una battaglia combattuta contro i Longobardi nella pianura adiacente (in una versione successiva, poi divenuta comune, contro i Saraceni).
Non si hanno documenti pertinenti a Santa Maria del Piano per tutto il XII secolo; nell’anno 1217 fu emessa da Papa Onorio III una Bolla che costituisce, oggi, la più ampia fonte di notizie disponibili sull’Abbazia: a composizione di uno scontro di competenze fra l’abate di Santa Maria ed il Vescovo della Sabina, viene ribadita la natura diocesana della struttura, con la conseguente ripartizione di incarichi amministrativi. Infatti, in tale periodo, l’abbazia ha una notevole influenza spirituale ed anche amministrativa su un enorme territorio e gestisce, per conto della Sede Apostolica, tutti i paesi più vicini. In relazione alla forte espansione rilevata dalla Bolla di Onorio, un’iscrizione datata 1219 testimonia un restauro della Chiesa, forse all’origine della sua attuale omogeneità architettonica di stile romanico.
L’Abbazia viene menzionata ancora, quasi un secolo dopo, in due missive del pontificato di Papa Giovanni XXII inviate rispettivamente nel 1330 e nel 1333; tramite queste lettere, all’abate di Santa Maria di Pozzaglia viene affidato un potere pari quello del Vescovo di Tivoli e del Responsabile della Basilica Lateranense. Allo stesso vengono, inoltre, affidati incarichi di autorità nel territorio della Sabina. Nel 1343 una visita apostolica elenca beni e proprietà dell’Abbazia e ne evidenzia la prospera situazione amministrativa.
Trenta anni dopo, nel 1373, Papa Gregorio IX incarica da Avignone l’abate di San Lorenzo fuori le mura, di riportare all’ordine una serie di monasteri intemperanti, tra i quali spicca proprio l’Abbazia di Santa Maria del Piano. L’influenza spirituale ed amministrativa del complesso si estende fino alle porte di Roma ancora nel XV secolo: si arriva, così, ad un singolare caso registrato nel 1427 in cui il Vescovo della Sabina (dopo aver appianato una situazione di evasione fiscale con il Presbitero della Chiesa di Mentana) spedisce il proprio vicario a Nicola, abate di Santa Maria del Piano, perché trascriva di suo pugno l’accordo raggiunto sotto la supervisione abbaziale.
Messo in commenda nel 1447, il complesso abbaziale appare ancora nei documenti tre secoli dopo, sia pure in minore attività; per tutto il XV secolo, si hanno numerose testimonianze scritte sullo svolgimento della Messa quotidiana e delle Processioni Liturgiche. La visita pastorale Corsini del 1781 descrive accuratamente gli arredi e le proprietà dell’Abbazia.
Solamente nel 1809 Pio VII dichiara soppresso il Monastero, trasmettendo l’amministrazione degli edifici sacri al demanio napoleonico e le rendite della Chiesa – gestite dalla famiglia Borghese a partire dalla metà del XVII secolo – alla nuova Diocesi, quella di Poggio Mirteto costituita nell’anno 1839. Il complesso abbaziale si presenta ancora – alla metà del 1800 – in un ottimo stato di conservazione e in una forma architettonica che ha attraversato sei secoli senza subire interventi sostanziali. L’evento decisivo che ha inciso profondamente sull’assetto strutturale di S. Maria del Piano è stato il morbo del colera che ha colpito duramente il paese di Orvinio nel 1855: all’arrivo dell’epidemia il paese che – nonostante il decreto napoleonico – continuava a seppellire i suoi morti al di sotto della Chiesa Parrocchiale, prese anche la decisione di dare sepoltura ai colerosi sotto la Chiesa di Santa Maria del Piano.
I principali interventi che hanno determinato il deterioramento del complesso in questione sono stati attuati in quella occasione. Infatti furono scardinate le porte, fu scoperchiato il tetto, fu divelto il mattonato e murato l’ingresso principale. Inoltre, per poter inumare gli abitanti di Orvinio, si procedette ad uno scavo continuato al di sotto del piano pavimentale e in tutta l’area del Monastero. In questo modo, privato delle coperture e disturbato nelle fondamenta, il complesso ha subito una vertiginosa accelerazione del processo di deterioramento, portando nell’arco di cinquant’anni ad un decadimento impressionante di Chiesa e Monastero.
La riesumazione e l’asportazione definitiva delle salme nel 1949, i terremoti e i fulmini hanno minato completamente la statica del complesso, al punto da provocare, nel 1952, il collasso dell’intera facciata della Chiesa. La Soprintendenza dei monumenti del Lazio, ha promosso ed avviato tra il 1953 e il 1957 una campagna di restauri. I lavori di ricomposizione, di ricostruzione della facciata, di consolidamento del corpo della Chiesa e il ripristino della torre campanaria hanno suscitato molto interesse, per le metodologie utilizzate, soprattutto negli ambienti tecnici. Inoltre i mezzi di comunicazione di massa dell’epoca hanno dato molto risalto all’evento.
Terminati i lavori di restauro, la struttura abbaziale – ricca di decorazioni architettoniche in ottimo stato di conservazione e situata in una zona completamente isolata – è divenuta oggetto di una sistematica attività di spoliazione di ogni elemento decorativo. Tutto ciò ha vanificato l’impegno economico e lavorativo occorso per i restauri. Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 sono stati asportati il rosone romanico, il davanzale con scena di caccia di memoria longobarda, due protomi di ariete ed un bassorilievo con cavaliere; successivamente sono state tolte tutte le componenti della ghiera della monofora del XII secolo, fino ad arrivare ai capitelli interni. Di questi ultimi si sono salvati soltanto le parti di indispensabile funzione statica. Gli unici pezzi che sono scampati a questo processo di spoliazione sono un pilastrino a motivi vegetali e l’ultima parte della decorazione della ghiera.
Pertanto il monumento, per quanto affascinante e armonicamente inserito nel paesaggio, risulta ormai privo di molti elementi architettonici impiegati per la sua costruzione e provenienti per lo più da resti di edifici romani e medievali della zona. E’ interessante notare come per questi materiali definiti in gergo tecnico “di spoglio” – in quanto derivano dallo smantellamento di qualcosa di preesistente – il destino tenda a ripetersi.
Oggi la struttura è di proprietà dello Stato; fino agli anni ’70, invece, apparteneva al Comune di Orvinio, anche se, dal punto amministrativo, l’area in cui era collocato l’intero complesso ricadeva nel Comune di Pozzaglia Sabina. In tempi remoti, fra gli abitanti di questi due paesi si sono accese contese per il possesso dell’Abbazia e delle sue terre.
Un ringraziamento particolare va all’Archeologa Sara Viàn che ha collaborato alla redazione del testo sopra riportato sull’ABBAZIA DI SANTA MARIA DEL PIANO.